22 febbraio 2015

cronache di un abbraccio dell'@HuffPostItalia


Se siete arrivati qui per la prima volta, riassumo brevemente cosa è accaduto in questa settimana.
Poi, da domani, torniamo a parlare di libri e dischi.
Durante il live twitting del Festival di Sanremo tra l’11 e il 12 febbraio, posto un tweet infelice che poi cancello subito.
Immediatamente, da questo mio blog personale dichiaro di essere io il responsabile dell'accaduto, sottolineando il pressapochismo del giornalista in questione. Forse è la prima volta che un dipendente pubblico ammette in prima persona le proprie responsabilità, perlomeno in questo modo.
Nonostante questo mio espormi, il 13 febbraio Claudia Vago dallo scranno dell’Huffington Post dichiara che non mi sono assunto queste responsabilità (nonostante lei abbia saputo che sono stato io, proprio grazie al post dove me le sono assunte… a me sembra malafede).
C’è di più. In poche righe, Claudia Vago mette in dubbio la mia onorabilità, la mia professionalità, i miei metodi di lavoro; brandendo oltretutto la mia testa per scagliarsi contro la Rai. Per finire, dal suo account Facebook aggiunge frasi diffamatorie.
Domenica 15 febbraio, dal mio blog smonto pezzo per pezzo tutte le infondatezze di Claudia Vago. Il 17 febbraio posto il testo sia nel suo blog personale che sotto il suo l’articolo nell’Huffington Post.
A tutt’oggi, Claudia Vago non ha risposto ai miei corposi appunti, né tantomeno ha sentito il dovere etico di ammettere di aver sbagliato impostazione del suo intervento, ampiamente smontato sia dal sottoscritto che soprattutto dai fatti.

Il problema serio, però, è che tra vent'anni, come tra pochi mesi, il post screditante di Claudia Vago mostrerà un Alessandro Loppi che non c'è, che non esiste, ma che l'approccio 2.0 di molti lettori condannerà a vita e relegherà nella gora dell'eterna incompetenza.
Del resto, già in quest’ultima settimana, il post in questione potrebbe essere stato letto dai 26.660 follower di Claudia Vago (e dai suoi amici su Facebook), ma anche dai 226.000 follower e dai 305.000 fan di Huffington Post, come anche dai lettori online del periodico, come anche da chi fa ricerche su di me, e via immaginando.
Il bello è che quelle di Claudia Vago non sono critiche, opinioni o appunti. Sono giudizi, e infondati.
Ora: non credo che Claudia Vago sia una bugiarda, ma che non abbia compreso fino in fondo il peso specifico che simili infondatezze possano avere dentro il web; web che conserva tutto decontestualizzandolo, senza consentire al lettore 2.0 di sapere esattamente cosa sia accaduto (figuriamoci, poi, se andrà a leggere la mia contraccusa).
Lo stesso lettore 2.0 si chiederà legittimamente perché non faccio causa a Claudia Vago. È presto detto: non posso. Attenzione: non ho detto che non voglio, ma che non posso.
Aggiungo che dobbiamo ricordarci chi è il direttore dell’Huffington Post… Un cortocircuito che mi vedrebbe debole in partenza, nonostante il danno subito. Secondo la mia malizia, Claudia Vago può e poteva immaginarlo.
E comunque, dall’alto della sua negligenza, Claudia Vago non ha messo in dubbio solo la mia onorabilità, ma paradossalmente anche quella dell’Huffington Post.
Già: sono questi i metodi che Huffington Post consente di usare?
E dove erano i fact checkers dell’Huffington Post?
E se oggi sono stato io a subire le dimostrate infondatezze di Claudia Vago, a quanti altri toccherà domani, dopodomani, tra un mese o un anno?


Come parlare degli errori altrui in maniera intelligente

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